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PHANTASMAGORIA
Testo di Valentina Galossi


Negli ultimi anni, Yvonne Andreini ha sviluppato una pratica artistica ispirata a fotografie di situazioni reali, principalmente conviviali tra persone-attori che si riuniscono a tavola. Catturare questo momento significa, per l’artista, visualizzare in particolare l’energia cinetica di quei corpi che si muovono nello spazio e nel tempo. Dallo scatto fotografico, Andreini passa al dipinto figurativo della stessa scena, ma gradualmente agisce sulla tela de-costruendo la scena stessa e dando origine a raffinati dipinti astratti. Andreini lavora il processo di stratificazione sulla tela a livello drammaturgico: il quadro può subire notevoli trasformazioni, cambiando ritmo, segno, colori e spazio. Nelle opere dell’artista, gli oggetti si delineano come ombre leggere in movimento; i corpi svaniscono e si trasformano in spiriti. Questa metamorfosi si manifesta, ad esempio, in “Spiriti in Festa”, dove Andreini celebra il “Geist”, inteso nella doppia accezione di spirito e di anima, e porge un brindisi agli spettri che ci circondano!


La parola “φάντασμα” (phantom), fantasma, proviene dal greco antico e la “Phantasmagoria” nel XVIII sec. era una forma di teatro che usava una versione modificata della lanterna magica per proiettare immagini spaventose come scheletri, demoni e fantasmi su muri, fumo o schermi semi-trasparenti; nelle opere di Yvonne Andreini in mostra questa forma teatrale è inspiratrice e si traduce nell’astrazione delle figure sulla tela: l’artista trascende i confini spazio-temporali e con i suoi dipinti genera un’energia totale visibile.


La “Weltanschauung”, la visione del mondo basata sul divenire, uno scorrere senza fine della realtà, un perenne nascere e morire delle cose, guida e orienta l’opera di Andreini. Con le sue pennellate ampie, dense e vivaci l’artista agisce sulla tela e la trasforma strato dopo strato: sottrae, applica, scuote e con delicatezza dà vita al movimento. Nell’opera “Celebrazioni” la materia cambia forma sotto i nostri occhi e ondate di colore cullano lo spettatore che lentamente inizia a danzare.
Yvonne Andreini ha studiato con Hanns Schimansky, noto per disegnare quasi
esclusivamente in bianco e nero o con un solo colore alla volta. Per anni, l’artista ha
prevalentemente utilizzato la tecnica del disegno, anche in formati molto grandi, dove il segno e la linea definivano il suo lavoro. Successivamente, ha iniziato una ricerca per trovare un metodo che le consentisse di integrare i due media, attribuendo loro lo stesso identico valore: un linguaggio che fosse sia linea, sia spazio. È stata una lotta continua, come dice l’artista stessa, “per non far vincere né l’uno né l’altro”.


I lavori di Andreini si caratterizzano per un’estetica del bello, ma la sua arte innesca un continuo processo di trasformazione che coinvolge anche l’osservatore. Nel corso del tempo, l’artista focalizza la sua ricerca sul concetto di forza come movimento interiore, preludio a un movimento esterno. Osserviamo i quadri di Yvonne Andreini e ci sorprendiamo di come quelle pennellate così precise lascino spazio alla contemplazione e al confronto profondo con noi stessi.
Se si fa riferimento al futurismo di Giacomo Balla, è cruciale interpretarlo da un punto di vista interno verso l’esterno, seguendo la stessa prospettiva di Andreini. L’obiettivo per l’artista non è tanto quello di rappresentare il movimento esterno o il dinamismo, ma piuttosto di esplorare le dinamiche interne più lente del movimento e come queste possano riflettersi all’esterno. Tentare di separarle risulterebbe inutile. Possiamo affermare che nelle creazioni di Yvonne Andreini nulla è immobile; la scena sotterranea si trasforma in una danza, in una vibrante sinfonia. La sensazione di vibrazione che si sprigiona quando un corpo avverte un suono, un flusso che permea attraverso i bassi e si intreccia con il ritmo. L’intento è trasmettere l’idea che gli oggetti non siano statici.
Nelle sue opere più recenti, il colore guadagna un ruolo di rilievo: tonalità rarefatte ma distinte; colori fluorescenti ma smorzati. La maturità artistica emerge nella ricerca e nell’adozione di una palette di colori decisa: una scala di grigi-neri, un arancione alla “Miami”, un viola semitrasparente.
I contrasti, in particolare, assumono grande importanza: tonalità come il verde, il blu e il viola, quasi pallide, si contrappongono a un rosso acceso, al nero, come nel caso di “Spiriti in Festa”, riflettendo gli eventi raffigurati nel quadro stesso. L’uso di china e acrilico contribuiscono a conferire opacità ma anche luminosità.
In “Verde silenzioso”, si intravede un carillon musicale o i suoi ingranaggi interni; le
semitrasparenze, le varie sfumature.


In “Phantasmagoria”, emerge un elemento fluttuante, forse una conchiglia, forse un pensiero, forse un sogno. Un’entità indefinita, assimilabile a uno spirito errante o paradossalmente a un cespo di insalata. Nelle opere di Yvonne Andreini, le forme geometriche si addolciscono, gli opposti si fondono, e dinamiche che definiscono la nascita di un tutto unitario, l’unione degli estremi che generano un nuovo equilibrio perfettamente funzionante, prendono forma.


“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita”. (William Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

EN


PHANTASMAGORIA
Text by Valentina Galossi


In recent years, Yvonne Andreini has developed an artistic practice inspired by photographs of real-life situations, mainly convivial gatherings of people-actors coming together at a table. Capturing this moment, for the artist, means particularly visualizing the kinetic energy of those bodies moving in space and time. From the photographic shot, Andreini transitions to the figurative painting of the same scene but gradually acts on the canvas by deconstructing the scene itself, giving rise to refined abstract paintings. Andreini works the layering process on the canvas at a dramaturgical level: the painting can undergo significant transformations, changing rhythm, mark, colors, and space. In Andreini’s paintings, objects outline themselves as light shadows in motion; bodies vanish and transform into ghosts. This metamorphosis manifests, for example, in “Spiriti in Festa,” where Andreini celebrates the “Geist,” understood in the dual sense of spirit and soul, and proposes a toast to the specters that surround us!
The word “φάντασμα” (phantom) comes from ancient Greek, and “Phantasmagoria” in the 18th century was a form of theater that used a modified version of the magic lantern to project frightening images such as skeletons, demons, and ghosts onto walls, smoke, or semi-transparent screens; in Yvonne Andreini’s exhibited works, this theatrical form is inspirational and translates into the abstraction of figures on the canvas: the artist breaks the space-time boundaries and with her paintings generates a visible total energy.
The “Weltanschauung,” the worldview based on becoming, an endless flow of reality, a perpetual birth and death of things, guides and informs Andreini’s work. With broad, dense, and vibrant brushstrokes, the artist acts upon the canvas, transforming it layer by layer: subtracting, applying, shaking, and delicately bringing movement to life. In the artwork “Celebrations,” the material changes shape before our eyes, and waves of color lull the viewer, slowly initiating a dance.
Yvonne Andreini studied with Hanns Schimansky, known for drawing almost exclusively in black and white or with only one color at a time. For years, Andreini predominantly used the drawing technique, even in very large formats, where the mark and the line defined
her work. Later, she began a search to find a method that would allow her to integrate the two media, assigning them the same identical value: a language that was both line and space. It was a continuous struggle, as the artist herself says, “not to let either one win.”
Andreini’s œuvre stand out for an aesthetic of beauty, but her art distinguishes itself through a deep process of transformation that also involves the spectator. Over time, the artist focuses on the concept of strength as inner movement, a prelude to external one. When observing Yvonne Andreini’s paintings, we are surprised by how those precise brushstrokes leave room for contemplation and a profound introspective dialogue with ourselves.
If we refer to Giacomo Balla’s futurism, it is crucial to interpret it from an internal perspective outward, following the same perspective as Andreini. The artist’s goal is not so much to represent external movement and dynamism but rather to explore the slower internal dynamics of movement and how these can reflect. Trying to separate them would be futile. We can say that in Andreini’s creations, nothing is immobile; the underground scene transforms into a dance, into a vibrant symphony. The sensation of vibration emanates when a body senses the sound, a flow that permeates through the bass and intertwines with the rhythm. The intent is to convey the idea that objects are not static.
In her more recent works, color takes on a prominent role: subdued
shades; fluorescent but muted. Artistic maturity emerges in the research and adoption of a but distinctly defined decisive color palette: a scale of gray-blacks, a “Miami” orange, a semi-transparent purple. Contrasts, in particular, take on great importance: shades like green, blue, and purple, almost pale, contrast with a vivid red, black, as in the case of “Spiriti in Festa,” reflecting the events depicted in the painting itself. The use of ink and acrylic contributes to giving opacity but also brightness. In “Verde silenzioso,” a musical carousel or its internal gears are glimpsed; semi-transparencies, various nuances. In “Phantasmagoria,” a floating element emerges, perhaps a shell, perhaps a thought, perhaps a dream. An indefinite entity, assimilable to a wandering spirit or paradoxically to a head of lettuce. In Yvonne Andreini’s œuvre, geometric shapes soften, opposites merge, and dynamics that define the birth of a unified whole, the union of extremes that generate a new perfectly functioning balance, take shape.


“We are such stuff as dreams are made on, and our little life is rounded with a sleep.”(William Shakespeare’s The Tempest. Act IV, Scene 1)

Traces. Chapters of Variety 

Text by Valentina Galossi

 

Ameret’s work revolves around the human being as both an individual and as part of an ever-evolving system. Her mixed- media paintings and installations are the outcomes of her interactions with people over the years, culminating in an archive of shadow forms. Through street actions and encounters, Ameret collects unique shadows that serve as source material for her images and installations, prompting reflections on social processes and the individual’s position in society. She often announces street performances or can be found simply sitting on the street, unfurling a flag and inviting people to contribute their shadows to her.


In the second step of Ameret’s process, individuals are invited to choose the form they wish to contribute to her archive. Initially, people stand in a relaxed manner, devoid of tension in their bodies. However, as the conversation progresses, a sense of tension starts to emerge, and gradually, they assume various forms with their bodies. Ameret makes it clear that she has no intention of selling these shadows, as she believes it would bring bad luck. Instead, she kindly requests that people give their shadows to her as a gift. Infact, one should never sell their own shadow but rather offer it as a gift, for individuals without shadows lack a tangible existence.
This reminds us of “The extraordinary story” of Peter Schlemihl by Adalbert von Chamisso. In that tale, Peter was a man who, driven by monetary desires, foolishly bartered his shadow to the devil.

Regrettably, he soon realized the profound consequences of his actions as he found himself utterly alienated from society, deprived of materiality.
“Decent people are careful to carry their shadows with them when they walk in the sun.” – The extraordinary story of Peter Schlemihl
This collaborative interaction allows for a personal and interactive experience, as individuals actively shape and express themselves through their chosen form in the shadow. The “donated” shadow figures form a growing digital archive, providing Ameret with a repertoire of forms. These human characters, arranged as human chains, stencils, cutouts, or individual figures, find their place in her paintings and objects, creating relationships between them. Ameret’s paintings invite us to reflect upon the concept of boundaries. The search for an individual’s place in the world, in society, within their own individuality, and in relation to others is determined by these boundaries. Our physical bodies, for example, establish our physical edges or boundaries. In one of Ameret’s paintings-flag titled “Summermeeting,” she aims to capture the reflection of three shadows, one on top of the other. This exploration of boundaries led me to an interesting conversation with Ameret, and I would like to share a story she told me.


Some time ago, Ameret conducted a performance involving children who painted only their feet to create shadows, a concept where shadows typically do not have feet. During this event, Ameret engaged in extensive conversations with the children, emphasizing the significance of respecting personal boundaries.
The concept of the “Standpunkt” or point of view is multifaceted and carries various meanings either in German and in english. Firstly, it pertains to different positions, referring to where one stays or positions oneself. Secondly, it encompasses how one stays or conducts themselves in a particular situation. Thus, the term encompasses at least these three distinct meanings. (…) 

Divenire

Text by Valentina Galossi

 

The ouvre of Marta Colombo (b. Merate, Italy, 1984) explores drawing as an emancipated technique.

It serves as the experimental and autonomous ground of Colombo’s own artistic practice. She releases the expressive potential of drawing – the classic medium, by freeing the signs and the lines. They are now unleashed to fluctuate and inhabit new spaces, no longer belonging exclusively to the paper surfaces where they once existed.

Before moving to Germany (2010), Colombo was educated at the Brera Academy of Fine Arts. A key point in her artistic career took place in Milan, where she honed her skills through anatomical drawing techniques: the body was analyzed and depicted by the artist with the same manner as an architectural element. She had since adopted this technique as both a working method and a critical strategy, after mastering it.

It is through drawing that Colombo delves into the three-dimensional aspects of space. The artist builds a geometric structure, then finds the anatomical form: she analyzes the depth of the body and the balance of the pelvis; studies the volume of the body and defines its proportions. It can be said that this modus operandi is rooted in the artist’s unconsciousness, and only over time it does acquire its full meaning. An example of this is one of her recent works, “Neuland” (2020) – a series of drawings where an explicit break with traditional visual codes occurs. From which, a meticulous infusion of sense and meaning is then revealed.

Since childhood, the German-Italian artist had been an insider behind the scenes of Teatro alla Scala, one of the most important theaters in the world, where her mother worked as a set designer. The immersive synergy of set design and stage space captured Colombo’s curiosity of a world filled with props, fabrics, costumes and people. Years later, she returned to La Scala to complete her training in Scenic Design. The very concept of stage presence has deeply influenced Colombo’s current practice: her works are primarily concerned with experimental scenography in terms of volume, objects and perspectives, amongst which the central themes of experimental design are being treated as sculptural processes and participatory strategies.

Colombo’s artistic research is based on a catalog of questions. They are fluid issues enriched by the reflections of the present time, where the focus revolves around a set of core topics throughout her art, such as drawing, composition, assemblage and aesthetics of space. The artist transposes the work on paper into three-dimensional space, which further becomes the ideal stage for participatory strategies engagement. The combination between different materials and perspectives functions as a driving force in elevating the viewer’s knowledge of the surrounding space, identifying through its qualities and potential. Art by Marta Colombo takes up the challenge of generating new participatory strategies and proposes options that could open up dialogues with various integration forms. She continues to experiment with diverse mediums in multiple disciplines. More than anything else, Colombo’s work stands out for its elegance, gentleness and inclusiveness. Her sophisticated drawings, along with her site-specific works, convey to the viewer a sense of security, while still leaving room for exploration through the experimentation.

Exhibition Essay 

by Valentina Galossi

 

 

“You have the possibility to give light a dimension in time”.

Jonas Mekas

 

 

Imagine if a bunker was a place of endless possibilities, a place where you could spend some time, maybe alone, thinking about yourself. What in your life shaped you to become the human being, the unique individual that you are now? How many steps did you take, how many moments did you spend on your own thinking and re-thinking, constantly constructing your personality and your critical and personal vision in an attempt to approach reality?

 

The process started when you were a child, you could remember some important memories of your past: the first time you cried because your red balloon flew away from you and you didn’t know where it was supposed to go, just gone. Where? Or the first time you had an argument with your father because he didn’t allow you to express your personal point of view: you were too young even to have one!

Which authors enriched the perspective of your life when you were teenager (Salinger, Calvino, Pasolini, Kafka, Moravia), what books do you have in your library? Rossellini, Visconti, De Sica, Godard, Truffaut, Tarkovskij, Fassbinder, Wenders, Almodovar, Capra, Allen, Moretti: have they influenced your inner formation? Every single step you made, every single person you met, every single book you read, movie you watched, place you visited, have brought you directly to this point. It’s time to turn on the light inside the Fichte-Bunker and start to walk with me during this journey. You will probably need some time to adjust to your surroundings, but don’t be afraid. I’ll be your personal guide. But first I have to tell you something: it’s a really cold and damp space, so please dear visitor be patient and courageous, put on a woollen jacket and breathe some fresh air, before entering.

 

“Every day is a journey and the journey in itself is home”. Matsuo Basho

 

#1. 

Entrance

The corridors draw a semi-circular line: 10 rooms/each cells 2×3 metres all around. If you close your eyes for just one second at the entrance, you can hear different and indistinct sounds surrounding you: waves, voices, songs, blurring into one. An image of ruins, a video of a fossil forest, a self portrait, an installation of archival sheets from a found photo album, flyers on a plinth, glass, a lightbox: these materials whisper to you slowly, softly and gently something that you already know, everything around us has a history and the traces of the past are eradicated in our present, sometimes in the forms of old ruins. It is the earth itself that tells us who we are and how much things change.

Take your time.

Don’t get lost.

Things change.

You can come and go from one cell to the other, unaware of the time, and meet at the end, Stephanie Comilang’s The Children of the King. Why don’t you close your eyes just once more and start to move back along the corridor: a wave of sound permeates the space all around and gives you a pleasant feeling of wellbeing, calmness and awareness.

Now you start to feel more confident with the space. It would probably be nice to meet some others at the end of the corridor, share with them your feelings and maybe take part in the game that is waiting for you there: Ivan Bošković’s Erde für die Zukunft. Please, play this game.

 

#2.

Contemporary scenario

In our present time, human beings can communicate from the opposite side of the world using Skype, social networking, or similar devices; people can also take low-cost flights and travel almost anywhere in a very short time. Each day we are brought closer to the anticipated use of technological devices as a “natural extension of ourselves” as Marshall McLuhan, prophesied in 1964, long before the current internet era.

People, young people, middle aged people, the elderly, re-think their everyday to navigate their current lives. We live in a precarious-era. The new-capitalism, in itself is the new scenario. The young generation living in these changing-times attempt to realize new goals, new dreams and new possibilites for their future. 

Our world is becoming a world of congestion, of new economic realities, and even new ways of establishing relationships between people; all of this generates a new way of thinking about life and about the future. The dangers that arise from our contemporary era, can also be related to isolation and alienation, economic and political crisis and perhaps the eventual collapse of the capitalistic system. Sometimes people even need a kind of fake “temple” or place of meditation, pretending to face problems by attending yoga class or talking once a week with a psychotherapist, or continuing to spend most of their time just living without introspection.

There are endless possibilities for our futures. I believe in the idea of the world as a vital place full of difference and unpredictable future scenarios.

 

#3.

Men have already been on the moon.

What kind of individual have you become?

I’m sorry to confess to you that I don’t have an answer, but I really hope that you continue with your own unique beliefs, dreams and values. Thanks for being with me until now. 

You and I can easily communicate, exchanging our feelings and experiences, failures and successes. 

Everything has happened inside this gasometer (which has quite a strange and difficult history to bear) and following this journey we have returned back home.

When sound becomes space: Dīpaka’s room. Kasper Vang

Text by Valentina Galossi


Room of Dīpaka, an installation by Danish artist Kasper Vang, was located on the second floor in the center of the Fichte-Bunker: the place of transcendence. The viewers could reach the room by ascending a spiral staircase that led them to experience a contemporary version of the ancient Indian raga: Dīpaka, known as the “melody of light.” 

This raga is acknowledge for its mystical history and dangerous effects, as it was said to cause such excitement when sung, that it would set lamps alight, and burn the body of the performer ashes.


Vang composed the sound in a very simple and minimal structure using eight sine tones of only one frequency for each tone. This eight tones are derived from the alleged scale of the mysterious Raga Dīpaka. This is an unusual way to write a musical composition and the perfect way to build an atmosphere. Rather than becoming a pure listening room, by linking the composition to the flickering, synchronized lights, the artwork becomes a space where the spectators feel at ease to think and imagine, feeling free to let their minds drift from the physical place. The artist works with atmosphere and sense of space, capturing and unfolding the hidden sounds of objects and rooms. (note 1)


In Room of Dīpaka, Vang shows the powerful ability to turn and revive the “melody of light.” using the formal and technical elements of the Indian musical tradition, but converting the tones of the original raga into a self-running, changing visual light composition, capturing the essential transcendental and magical qualities of the ancient raga form. 


Vang’s artwork – made with eight different sine frequencies and twenty-four light bulbs -produces a very contemplative atmosphere: the installation is constantly changes to become a space that seems to invite the visitor to be part of and to share a specific space, a space made from sound.


“I don’t want to do something too obvious. Slowly people start to realize that the installation changes. Sound can alter the normal way to listen.

If you spend some time with the work you realize that there is something around you,

not just in front of you. (…) “I’m interested in creating an atmosphere that gives you space to think and makes you feel conscious of being in that space.”


The sound and the light and all that surrounds act as stimuli to activate one’s inner dialogue and suggest a dreamy, rarefied and contemplative atmosphere that might transport the mind of the viewer into a poetics reminiscent of Andrei Tarkovsky’s. 


Paraphrasing the words of the great Russian director, we might say, who can call himself a poet in contemporary art? An artist who creates his own world and does not simply attempt to reproduce the reality that surrounds him inviting the viewer in taking part of it.


2 http://www.idolonstudio.com/weekendsound/

Spielraum.

Text by Valentina Galossi

 

 

“Real pain for your sham friends, 

champagne for your friends.”

Francis Bacon

 

 

EN

For his Berlin debut, Daniele Sigalot (aka Blue and Joy) has chosen the splendid new venue of Bernheimer Contemporary, located near Museum Island in the heart of Berlin. 

The title of the exhibition -SPIELRAUM – invites visitors to let go of inhibitions, labels, and formal detachment and be captivated by the kaleidoscope of colors, shapes, materials, and combinations of techniques that characterize the neo-pop universe of this “illusionist” and irreverent artist.

 

Sigalot’s work finds its roots in the Pop Art of the 1960s, but also aspects of everyday life, mass media, popular and mass culture, Street Art, and the world of soccer, comics, and advertising. Her artistic language is appropriate for a generation that embraces postmodern aesthetics and thus speaks to a cultural phenomenon: she reappropriates clichés by bringing what traditionally belongs to other cultural spheres into a space dedicated to art. There is no denying the Duchampian imprint of this gesture that, in our time, produces a short circuit of energy, activating an immediate bond of empathy with the viewer.

 

Welcome to Blue and Joy’s SPIELRAUM, a four-room exhibition where you will experience a temporary suspension of reality. You will find yourself immersed in an atmosphere of ecstasy and lightness dedicated to playing, illusion, and irony. Along the lines of Alighiero Boetti’s Planes, paper airplanes are arranged in a dense but graceful fleet that takes the viewer by surprise, hinting at other possible scenarios; it is an archetypal image, an evocative symbol that ignites the imagination. This immersive installation is a riot of color, a unique and immersive visual experience; the aluminum bending technique captures the aesthetics of dynamism in a static form, demonstrating once again how the coexistence of contrasting and contradictory elements is one of the main features of Sigalot’s modus operandi. The artist has chosen the ductile material of aluminum to emphasize the fragility, the exposure to a certain vulnerability that is inherent in life in an ever-changing world. The plane thus becomes a symbol that pushes our gaze to the highest spheres of imagination.

 

The journey continues with the new series of aluminum sculptures entitled Ideas. These works have a strong autobiographical imprint. The world of advertising is seen here as one in which the human mind becomes comparable to a “thought-shooting” machine; there is a reference to creativity at all costs, which often does not produce the desired results. To portray the inconsistency of our times, Sigalot ridicules the acclaimed and narcissistic artist, as well as the art system in general, understood as a self-referential system, but also contemporary society, which seems incapable of going beyond a narrow and circular critical reflection. His irony is also directed against the corruption and populism of Italian politicians and the very idea of destiny, to which he even addresses an open letter: Dear Destiny.

 

A chronometer in a plexiglass case counts the seconds in thousands of years. This work of art will last a thousand years-here we are faced with the artist’s urgency to generate a work of art that will survive time. If only we could be here in a thousand years to check if the stopwatch still works!

 

The journey concludes with La Pizzeria: the world and friends that revolve around Sigalot’s “factory” in Berlin. The book also offers an ironic view of corruption, nepotism, and intimidation. Among the various posters, photographs, and videos, one video was shot at MoMA in New York and bears the title, “The Meaning of Art – Marina Abramovic, an Empty Gallery, Us and What It Means to Be an Artist Today.” A nearly two-minute celebration of carefree living, it uses laughter as a form of collective catharsis.

 

 

IT

Blue and Joy – Daniele Sigalot, per il suo debutto berlinese, ha scelto la straordinaria nuova sede della Bernheimer Contemporary a pochi passi dal Museumsinsel, il cuore di Berlino.

 

Il titolo della mostra, SPIELRAUM è un invito a lasciare fuori inibizioni, etichette e distacco formale per farsi catturare dalla frenesia di colori, forme, materiali e mix di tecniche che contraddistinguono l’universo neo-pop dell’artista “illusionista” e irriverente, Daniele Sigalot. L’arte di Sigalot, affonda le sue radici nell’immaginario della Pop Art degli anni Sessanta, negli elementi del quotidiano, ne i mass media, nella cultura popolare e di massa, nella Street Art, nel mondo del calcio, quello del fumetto e della pubblicità. 

 

Un linguaggio modellato su una generazione, che abbraccia un’estetica postmoderna fino a diventare fenomeno culturale: sdoganare i cliché portando nello spazio deputato all’arte quegli elementi che appartengono ad una cultura altra. Certamente un gesto di duchampiana memoria che nella nostra contemporaneità, produce un cortocircuito

di energia attivando immediatamente un rapporto di empatia con lo spettatore.

 

Benvenuti nella SPIELRAUM di Blue and Joy, un percorso espositivo che consta di quattro stanze nelle quali poter godere di un momento di apparente sospensione dal reale, immersi in un’atmosfera di estasi e leggerezza dedicata al gioco, all’illusione, all’ironia.

Sulla scia degli “Aerei” di Alighiero Boetti gli aerei di carta, compongono una flotta numerosa e leggiadra, che coglie lo spettatore quasi di sorpresa, indirizzandolo verso altri e possibili scenari; un’immagine archetipica, un simbolo che spinge all’immaginazione e alla visione. 

 

L’installazione immersiva è un tripudio di colori, un’esperienza visiva unica e

significativa, coinvolgente e gratificante; la tecnica di piegatura dell’alluminio, cattura l’estetica del dinamismo in una forma statica ricordando come la coesistenza di elementi opposti e contraddittori sia caratteristica predominante del modus operandi (pratica artistica) dei Blue and Joy. Affidandosi ad un materiale malleabile come l’alluminio, l’artista vuole sottolineare la fragilità, l’esposizione e una certa vulnerabilità insita nel vivere in un mondo in continua trasformazione. Ecco, quindi che l’aereo diventa un simbolo che spinge lo sguardo verso le alte sfere dell’immaginazione.

Il percorso prosegue poi con una nuova produzione, la serie di sculture, sempre in alluminio, dal titolo: Ideas.

 

In queste opere, c’è un forte richiamo autobiografico. Il mondo della pubblicità, è visto qui come un mondo nel quale la mente umana, viene equiparate ad una macchina “sputa idee”; c’è quindi un riferimento alla creatività a tutti i costi, che non sempre produce i risultati auspicati. Per rappresentare la fragilità del nostro tempo, Sigalot, ironizza sornione con l’immagine dell’artista blasonato, modello vincente e narciso; con il sistema dell’arte in quanto sistema autoreferenziale, con la società contemporanea che non sembra favorire il fluire di un pensiero critico chiuso e circolare; con quella

classe politica italiana corrotta e populista, con l’idea stessa di destino al quale indirizza una lettera aperta, Dear Destiny.

 

Il percorso si chiude ne “La Pizzeria”: il mondo, gli amici che girano intorno a la “factory” berlinese di Daniele Sigalot, Qui c’è spazio per ironizzare anche su corruzione e nepotismo, intimidazione e favoritismi. Tra i vari poster, fotografie e video, c’è ne è uno girato al MOMA di New York, dal titolo: The Meaning of Art – Marina Abramovic, an empty gallery,

us, and what does it mean to be an artist nowadays. Poco meno di due minuti, un inno al vivere con leggerezza utilizzando la risata come catarsi collettiva.

 

La retrospettiva in Tate Modern (2012) del Maverick italiano, ha profondamente inspirato il lavoro del duo La Fauci-Sigalot. Rimasto il Sigalot a pilotare i Blue and Joy, fa simpatia pensare ad un novello Maverick, Daniele e Sigalot. 

Articles

Anish Kapoor 

KAPOOR IN BERLIN

Text by Valentina Galossi

18 MAGGIO/24 NOVEMBRE 2013 Kapoor in Berlin

Martin-Gropius-Bau

www.berlinerfestspiele.de

 

IT

Il Martin-Gropius-Bau ospita la mostra di uno dei più celebrati e importanti artisti dei nostri tempi, Sir Anish Kapoor. Percorriamo un’anticamera di 300 mq con soffitto a cupola, quando di fronte a noi si apre un atrio di 600 mq dove è allestita la prima straordinaria scultura installazione di Sir Kapoor: “Symphony for a Beloved Sun”.

Creata appositamente per questo spazio maestoso, la Sinfonia – ispirata all’opera cubo-futurista russa “Vittoria sul Sole” – si compone di un grande disco rosso che si erge nel centro della stanza, circondato da 80 tonnellate di cera caduti al suolo da oltre 7 metri di altezza e modellate da sembrare blocchi di mattoni.

 

La scultura permea lo spazio di una tale solennità e bellezza che soltanto le cose autentiche possono trasmettere; il colore rosso della cera ha il potere di riscaldare l’immensità della stanza e di rendere tutti i visitatori testimoni di un evento. Si sta lì in attesa che qualcosa accada: di veder cadere un blocco di cera da un montacarichi,

di cercare una forma netta tra quelle formatesi al suolo seppur in continua trasformazione; di chiudere gli occhi per sperimentare se quel grande disco rosso sia davvero capace di surriscaldare la stanza.Lo scultore e architetto britannico dà vita ad una visione estetica che diventa estensione e scopo della scultura contemporanea; la sua è una scultura intima che ricerca una profonda relazione tra l’oggetto, testimone di un processo, e il visitatore che, Kapoor, vuole il più possibile “presente”.

 

Sono più di 70 i lavori esposti, ma – come l’artista tiene a precisare – non si tratta di una retrospettiva, bensì per la maggior parte dei casi sono opere site specific, ragionate e create per esistere nel Martin Gropius Bau.Le sculture, riempiono lo spazio di curve sinuose e provocanti che ricercano un contatto diretto e che si sostanziano di quegli spazi che le ospitano; non si può soltanto osservarle, esse richiamano una partecipazione, il visitatore deve fare un passo avanti ed interrogare quelle forme e colori, passeggiare attraverso i paesaggi archetipici portando le proprie personali associazioni nella lettura dei lavori. Kapoor si forma in Inghilterra, traendo inspirazione da illustri colleghi che negli anni Settanta, gli anni del Chelsea School of Art, stavano ridefinendo i limiti della scultura attraverso un uso evocativo ed una presentazione non convenzionale delle opere: Joseph Beuys, Paul Neager e Paul Thek. A proposito di Paul Negau, Kapoor dice:

 

 

“aveva individuato che lo scopo di essere un artista non era quello di dare vita ad oggetti più o meno interessanti, ma che il linguaggio degli occhi ha implicazioni psicologiche, fisiologiche, filosofiche, persino metafisiche. Questo mi fece capire cosa stavo cercando”.

 

 

Spiegel |Mirrors

“Non solo abbiamo molto da vedere, ma dobbiamo anche spingerci oltre ed esercitare uno sforzo maggiore nell’atto del vedere” Sandhini Poddar

I Mirrors rappresentano il filo che attraversa l’opera di Kapoor.

Le infinite prospettive dalle quali ci suggeriscono di osservare noi stessi e la realtà che ci circonda sono fortemente disorientanti, così come ritrovarsi improvvisamente e da adulti, nel mondo di Lewis Carroll oppure in uno dei tanti film di Tim Burton.

L’interazione con l’osservatore diventa quindi cruciale, ci si trova ad assumere di volta in volta prospettive strabilianti che non riflettono mai la realtà circostante mentre la nostra immagine subisce cambiamenti continui. Questo stato primordiale di disorientamento è simile ad uno stato onirico, l’unica cosa certa è la nostra presenza in quella dimensione altra.

 

When I am Pregnant è invece una scultura in fibra di vetro e vernice. Realizzata su una parete bianca, consiste in un bulbo che emerge dal muro come una protuberanza e a seconda della posizione che lo spettatore assume è possibile vedere l’opera in maniera più o meno chiara e nitida. Il percorso nelle sale di questo straordinario edificio ottocentesco della capitale tedesca, è un’esperienza profondamente immersiva e catartica che ci fa sperimentare in modo diretto le infinite possibilità del nostro sguardo e della percezione umana.

 

“The colour red – it’s in all of us” Anish Kapoor

Berlin art week-end 2013

Focus su Jong Oh e Oscar Murillo

Text by Valentina Galossi

 

 

IT

 

Tutto si è svolto a ritmi serratissimi durante il week-end berlinese di gallerie aperte: più di 51 in tutto sconfinando tra Mitte, Kreuzberg e Potsdamer Platz.

Grande attenzione meritatamente puntata sul giovane artista colombiano Oscar Murillo, già conosciuto sulla scena internazionale come il nuovo Basquiat, e sulla presentazione ufficiale del progetto “Relaunch” ad opera dell’artista bulgaro Nedko Solakov.

Voluto dal curatore capo del KW Institute for Contemporary Art, Ellen Blumenstein, il progetto punta a rilanciare nell’immaginario dei visitatori il presente, il passato ed il futuro dell’Istituto a seconda del tipo di esperienza già stabilita con esso negli anni.

Per chi si trovasse a scoprire per la prima volta il KW, si troverà a camminare per stanze vuote adornate solo da scritte di #teaser che rimandano a progetti della Biennale a venire, proiettando lo spettatore nell’avventura che sarà. Per coloro i quali frequentano da anni l’elegante palazzina di Augustrasse, già punto di riferimento della scena artistica internazionale, il gioco sarà quello di chiudere gli occhi cercando di ricordare quale opera, quale artista, quale curatore sia già passato di lì, iniziando a scriverne la storia. Il presente della serata scorrerà via in un baleno !

 

 

Tra gli altri poi Jong Oh, un giovane artista coreano, ci ha colto di sorpresa nella Galerienhaus di Mitte conquistando tutta la nostra simpatia, curiosità ed attenzione.

L’arte minimalista di JONG OH trascina il pubblico del week-end galleries di Berlino

È un minimalismo visionario e illusionista quello concepito da Jong Oh, artista coreano residente a New York, per la prima europea alla galleria Jochen Hempel situata al secondo piano della Galerienhaus di Lindenstrasse 35 a pochi metri dal Check Point Charlie.

Jong Oh (1981) crea installazioni site specific che rendono lo spazio ospitante straordinariamente vivo, invitando lo spettatore a confrontarsi ed interagire con prospettive, geometrie e simmetrie insolite e sapienti che attivano la percezione visiva ma anche un’esperienza fisica, ludica e meditativa.

 

“Rispondendo ad una configurazione sfumata dello spazio, costruisco strutture spaziali attraverso la sospensione di Plexiglas e di stringhe dipinte nell’aria.” 

 

Questi elementi si connettono o intersecano gli uni negli altri, a seconda delle prospettive assunte dagli spettatori. Lo spettatore si trova a camminare intorno e all’interno di questi confini paradossali costituiti da tridimensionalità e unidimensionalità, compimento e distruzione. L’esperienza del visitatore diventa meditazione sul capriccio della percezione”.

Oh attraverso le sue composizioni spaziali vuole sondare i limiti della visibilità e della consapevolezza dello sguardo, incoraggiando lo spettatore ad interrogarsi su forme, relazioni, equilibrio e fragilità. I visitatori hanno ricercato con ciascuna delle 6 installazioni un rapporto diretto prima di osservazione e successivamente di relazione con le installazioni spaziali. Il BerlinerArtLink ha parlato di luogo nel quale poter ricaricare le proprie batterie, noi pensiamo ad uno spazio che, con una selezione limitata di materiali: spago, lenza, Plexiglas e aste di legno, sia stato pensato e costruito per accogliere il visitatore e poi lasciarlo libero alla scoperta di un mondo nel quale pensare, camminare e via via considerare come anche il minimo dettaglio abbia una grande importanza nella percezione della visione d’insieme. 

Jong Oh considera ogni sua opera come una poesia visiva attentamente composta: 

“I lavori diventano sottili e contenuti poemi visuali. Ciascuno consta soltanto di poche righe ma si connette con l’universale”.

 

Tra visitatori, amatori e collezionisti presenti alla mostra abbiamo incontrato una scintillante Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, piacevolmente catturata ed incuriosita dall’incontro con l’arte minimalista di Jong Oh!

 

 

Fino all’8 giugno

Jochen Hempel Galerie

Lindenstrasse 35, Berlin http://www.jochenhempel.com/#/de/artists/jong_oh http://www.ohjong.com/

 

 

OSCAR MURILLO

 

“Ramòn how was trade today? Have a break…Sit!

Enjoy the food, but you’re not welcomed at the table”.

 

 

Voce graffiante e disperatamente autentica quella di Oscar Murillo (1986), giovane artista colombiano nato a La Paila e residente a Londra. Nel 2011, ancora studente della Central Saint Martin, viene scoperto da Saatchi e inserito nella sua collezione; la scorsa estate è stato chiamato a presentare una performance per il pavillion della Serpentine Gallery disegnato da Herzog & de Meuron e Ai Weiwei.

 

Accolto come il nuovo Basquiat, il suo lavoro colpisce per la disinvoltura e l’intensità con le quali comunica un’urgenza politica e di inclusione sociale, esplorando temi legati all’identità e al linguaggio con i suoi dipinti ma anche con i video e le performances.

 

“Non sono mai stato davvero un artista da bambino. Nessun componente della mia famiglia è un artista ed io non sono cresciuto affatto circondato da arte. In Colombia sono cresciuto all’aperto, giocavo tra i palazzi e non alla Playstation.

Era un’esistenza molto tangibile ed io sono stato cresciuto così fino all’età di dieci anni.

Poi mi sono trasferito a Londra. Alla metà degli anni ’90 trovai un ambiente molto sterilizzato, così l’arte divenne l’unica cosa alla quale attingere per soddisfare questo mio desiderio di tangibilità”.

 

 

Il suo lavoro viene presentato da Isabella Bortolozzi Galerie in un percorso espositivo drammaturgicamente coerente in 3 luoghi differenti di PotsdamerPlatz: un bunker di recente scoperta, un negozio e la galleria.Entrare nella galleria è come entrare nello studio dell’artista: uno spazio caldo e caotico molto lontano dal classico white cube. Il percorso non è segnato, camminiamo intorno a tele di enormi dimensioni che sembrano casualmente lasciate lì dall’artista; per accedere alla proiezione video, procediamo in fila indiana all’attraversamento di un corridoio perché, semplicemente adagiati a terra e uno di fronte l’atro, troviamo altri 2 dipinti 210×170 cm, sembra stiano dialogando, o magari giocando l’uno con l’altro.

 

Le parole contenute nelle tele sono l’archivio delle precedenti performances di Murillo: milk, yoga, chorizo, bingo, work, poker ecc. e attingono direttamente alla cultura popolare colombiana dando all’artista l’opportunità di cristallizzare le performance nei suoi lavori, come se i dipinti fossero una tecnologia rettangolare utilizzata per registrare accadimenti.

 

Oscar Murillo definisce i confini del suo mondo e ci persuade ad attraversarli.

Un mondo interiore, che ha radici profonde nella cultura colombiana, nell’infanzia vissuta giocando per strada a pallone, nelle percussioni latine, nella condivisione e partecipazione sociale che rende l’esperienza vitale tangibile e autentica. L’arte è lo strumento che Murillo ha trovato per soddisfare il suo desiderio di fisicità e materialità e che utilizza per ricreare situazioni di partecipazione e condivisione della sua esperienza offrendola ad altri contesti.

 

27 aprile – 6 giugno 2013

www.bortolozzi.com http://vimeo.com/53722474

SAMMLUNG BOROS

Boros Collection #2 

Text by Valentina Galossi

 

IT

A Berlino l’Arte Contemporanea assume diverse forme, dialoga con le strutture del passato e conquista gli scenari del futuro. Protagonista delle Istituzioni museali, si insinua negli spazi pubblici ed è l’ospite d’onore di quelli privati: le gallerie commerciali di Mitte, gli spazi no-profit di Kreutzberg e Neukölln, le fiere d’arte, abc e Preview su tutte. Anche la banca più potente del mondo oggi, la Deutsche Bank, dal 1997 con la Solomon R. Guggenheim Foundation ha dato vita al Deutsche Guggenheim.

 

C’è uno spazio che sembra fare storia a sé: il bunker di proprietà del tedesco Christian Boros. Situato vicino alla fermata della S-Bahn di Friedrichstrasse è stato costruito nel 1941 come rifugio antiaereo per la popolazione civile e, nel corso degli anni, ha cambiato diverse destinazioni d’uso, fino ad ospitare oggi la Boros Collection una delle più complete, preziose ed ambiziose collezioni private di arte contemporanea.

Boros proviene dal mondo della pubblicità e nell’arte ha sempre trovato fonte di ispirazione, potere ed energia per il suo lavoro. Questa consapevolezza, lo ha spinto fin da giovanissimo a reinvestire parte degli utili guadagnati con la pubblicità nell’arte contemporanea, diventando collezionista. Per diversi anni è andato alla ricerca di uno spazio che potesse mettere in mostra la sua collezione. 

“Avevo chiaro nella testa – dichiara in un’intervista su “I do art” – che sarebbe dovuto essere uno spazio da riconvertire, specialmente in una città come Berlino. La città è in costante trasformazione, questo rende assolutamente privo di senso costruire qualcosa di nuovo”. 

 

Boros vive con la sua famiglia all’ultimo piano del bunker, interamente ristrutturato hi-tech, e gli piace pensare alla sua collezione, ospitata nei livelli sottostanti, come fosse la sua sala hobby personale. Durante una visita guidata, potreste vedere i suoi figli salire con l’ascensore montacarichi con la spesa, e domandarvi come sarebbe vivere con la consapevolezza di camminare sopra 5 piani di arte. 

 

La prima mostra della collezione si è protratta dal 2008 al 2012 ed ha attirato oltre 120,000 visitatori. Lo spazio – 3000 mq di superficie, 5 piani e oltre 80 stanze – ha appena aperto le porte ad una nuova grande mostra che presenta lavori dei tardi anni Novanta insieme a recenti acquisizioni.

Tutti i media, scultura, installazione, dipinti, disegni, video e fotografia sono ampiamente rappresentati nello show. Noi siamo andati a visitarlo. 

 

Entrando nel bunker, ci troviamo da subito immersi in un’atmosfera ricca di passato. È un luogo che non ha perso la sua anima: l’illuminazione e i materiali ne preservano la storicità e la scelta della collezione privata ne accende i contorni di una delle più grande galleria d’arte europee. Camminiamo intorno alle installazioni dell’artista danese, Olafur Eliasson prima di accedere al foyer dove la guida ci attende per un tour. 

 

Ai Weiwei, Awst & Walther, Dirk Bell, Cosima von Bonin, Marieta Chirulescu, Thea Djordjadze, Olafur Eliasson, Alicja Kwade, Klara Lidén, Florian Meisenberg, Roman Ondák, Stephen G. Rhodes, Thomas Ruff, Michael Sailstorfer, Tomás Saraceno, Thomas Scheibitz, Wolfgang Tillmans, Rirkrit Tiravanija, Danh Vo, Cerith Wyn Evans und Thomas Zipp

 

La selezione delle opere è curata fino al minimo dettaglio nella sua modalità di installazione, sarà forse perchè gli artisti stessi sono stati invitati ad installare i loro lavori confrontandosi con l’eccezionale spazio nel quale si trovano ad operare. 

Ognuna delle oltre 80 stanze, pertugio, porta del bunker a seconda delle prospettive del percorso espositivo, è stata studiata per un’armonia di forme e contenuti tra spazio fisico preesistente e opera d’arte.  È un cammino nella storia e nell’arte che ci ha regalato un misto di meraviglia e consapevolezza: 

“Visitando il bunker non si vede soltanto arte, ma si entra nella storia. Il passato è trattenuto nel labirinto delle sue stanze: il terrore del regime nazista, la paura della guerra insieme al pragmatismo di un negozio di frutta nella DDR o l’edonismo della scena techno dopo la caduta del muro. Non si può ignorare”. (Christian Boros, I do Art)

 

2013 – 2017 

www. Sammlung-boros.de 

http://www.idoart.dk/interview-christian-boros/

 

HERBERT VOLKMANN

SOCIETY COMA

Text by Valentina Galossi

 

“The future is not prepared behind the observer, it is a brooding presence moving to meet him, like a storm on the horizon.” Merleau-Ponty

 

IT

L’ artista tedesco Herbert Volkmann (nato a Berlino,1954) presenta presso la Galleria Jan-Philipp Sexauer di Berlino, la sua più recente produzione di lavori. 

Irriverenti, visionari e talvolta psichedelici inducono lo spettatore, attraverso prospettive claustrofobiche e superfici multi-riflesso, ad intraprendere un viaggio al di sotto dei diversi livelli di illusione, alla ricerca di ciò che a prima vista non è visibile. 

 

Volkmann affonda le sue radici di pittore „maledetto“ nella scena pop e nell’ underground. Nei primi anni Novanta, all’ indomani della caduta del muro, e´un importante collezionista di Arte Contemporanea con circa 300 opere dárte, tra le quali: Matthew Barney, Raymond Pettibon, Sarah Lucas e Damien Hirst, solo per citarne alcuni.

 

All’indomani del crack finanziario del padre, grossista ortofrutticolo, il trentenne Herbert si ritrova costretto a ripensare alla sua vita. Sono anni bui e di grandi travagli interiori, durante i quali la dipendenza dalle droghe diventa una pericolosa compagna di sventure. 

Nel 1996, pero lincontro con Jonathan Meese, regala a Volkmann nuove prospettive, una ritrovata fiducia nelle sue potenzialita´e una conferma del suo talento di pittore.

 

Profondamente inspirato dall’arte di Joseph Beuys e influenzato da Hermann Bachmann, intellettuale marxista e suo insegnante ai tempi dellúniversita´(HdK), dipingere e’ per Volkmann un desiderio quasi erotico. Vi ritrova la necessita’ di iniziare da una scena in movimento, per poter catturare il momento nella sua dimensione di realta.

 

“Quando non posso creare un illusione di spazio, non posso raggiungere un’emozione”.

 

Herbert vuole penetrare lo spazio e raggiungere lo spettatore attraverso la costruzione di un’intimita’. I suoi dipinti sono porte che ci indirizzano in una twilight zone, consentendo allo spettatore di ampliare i propri orizzonti spaziali e temporali. 

La spazialità viene raggiunta attraverso l’uso della prospettiva: lo spazio lasciato sulla tela è l’elemento essenziale nel quale trovare il posto delle emozioni. 

 

Nei nuovi lavori si ritrova l’ urgenza di investigare il reale, di intercettare lo spazio tra il reale e l’irreale, utilizzando una qualità quasi sensuale nella scelta estetica delle immagini.

 

Visitando la main room della galleria Sexauer, l’energia della musica pop e dell’underground sono nell’ aria, portando lo spettatore ad una reazione quasi fisica, senz’altro emozionale.Investigare l’animo irrisolto, ambiguo, oscuro di Amy W. e Peter Doherty; di Lady D e Dodi Lafayette di Carlo e Camilla, di Frank Sinatra o Dean Martin forse regalano ad Herbert Volkmann líllusione -di rinascere ancora una volta. 

 

1.Immagine

Charles&Camilla I

2014

Oil on canvas 

140×210 cm

Copyright 

 

Durante un recente soggiorno a Londra, Volkmann si imbatte in una manifestazione. Camilla e Carlo sono in macchina, un gruppo di manifestanti getta contro di loro oggetti in segno di protesta. Volkmann e´tra la folla e scatta una fotografia. 

Il dipinto che vediamo e´la composizione di un incontro mai avvenuto. Un affascinante gioco di riflessi.

 

2.Immagine

Franky goes to Hollywood

2014

Oil on Canvas

60×50 cm

 

Franky e´inspirato a Chinatown di Roman Polanski. Nel film del 1974 , il protagonista Jack Nicholson indossa un vistoso cerotto, come segno inequivocabile di cattivo ragazzo. Nel dipinto e´inoltre presente unáltra citazione filmica del tedesco Otto Preminger in “The man with the Golden Arm”. 

 

3. Immagine

Desastertrip in Snakeparadise I

2013

collage

50×70 cm

 

Uno stato di allucinazione psichedelica nel quale i sensi sono dilatati e la visione si raddoppia. La paranoia e la perdita di controllo sono presenti in questo straordinario collage visione.  

 

Herbert Volkmann

Society Coma

31 gennaio – 14 Marzo 

 

Sexauer Gallery

Streustraße 90

13086 Berlin

 

www.sexauer.eu

www.facebook.com/sexauergalleryAccordion Content

BerlinRoma – Reverse Inequality

Exhibition text by Valentina Galossi

 

IT

Perché attivare uno scambio artistico tra Roma e Berlino?

 

Roma, la città d’arte per eccellenza, un museo a cielo aperto. 

Ma non è solo questo! Ci sono artisti che ne hanno tratto inspirazione, chi ci è nato e poi se ne è allontanato; chi vive ancora lì la sua vita professionale, ma sono in pochi. In ogni caso, sono proprio loro, gli artisti, a rendere attuale la memoria di questa affascinante città dal passato ingombrante, ed è con le loro opere che ne viene valorizzata la storia più recente. L’eredità di Roma è nelle persone che ne fanno parte, e negli artisti che la rappresentano. Oggi è Berlino ad attirare artisti da tutto il mondo. Dalla caduta del muro, è lei la nuova capitale culturale europea. Forse non sbagliamo nel dire che tra le due città è avvenuto un sotterraneo passaggio del testimone. 

 

La mostra “Berlin Roma – Reverse Inequality”, concepita come uno scambio tra le due città, nasce dall’incontro della curatrice romana, Valentina Galossi, residente a Berlino da 3 anni, con l’artista tedesca, Amélie Grözinger. L’intento è quello di attivare un discorso sull’identità, la memoria, le tracce, il tempo, la storia, le radici, sulla base di un sentire comune. 

 

Nel dopoguerra, Roma è stata la città di Pasolini, Anna Magnani, Monica Vitti, ma è anche la città di piccole e solide realtà come MAS, la “Roma Città Aperta”, la “Mamma Roma”, “La grande bellezza”; una città difficile da decifrare, più che una città reale sembra quasi uno spazio dell’immaginario, nel quale poter proiettare particolari e infinite aspettative. 

Da Roma, Berlino sembra la risposta al futuro. Il baluardo della contemporaneità. Da Berlino, Roma splende del suo immaginario. Un luogo senza tempo. 

 

La mostra si apre con Copies récentes de paysages anciens, video di Rä di Martino, sulle note di “Im Abendrot” di Richard Strauss eseguite da Enrico Ascoli. L’ambientazione è quella di un film di fantascienza “caratterizzato da una temporalità ambigua, un futuro anteriore, una prospettiva che si sdoppia tra passato e presente”. 

A segnare l’ingresso nella main hall, “Italia Rosa”, l’opera di Andrea Sala offre allo spettatore l’illusione di entrare in un tempio antico; sensazione rafforzata poi dai “Fragment” di Max Paul che stabiliscono un forte legame tra antico e contemporaneo per l’uso dei materiali utilizzati. Di fronte ad una delle 5 finestre ad orgiva, su un piedistallo bianco si erge il video “Son of Niobe”. L’artista romana Elisabetta Benassi, ci riporta al 27 maggio del 1993 quando nel cuore di Firenze, si consumava la strage di via dei Georgofili, che provocò gravi danni alla Galleria degli Uffizi. La statua romana, il Figlio di Niobe, imitazione di una greca presenta entrambe le gambe amputate in seguito a quella esplosione. 

 

Il padiglione centrale è nei quattro angoli ricoperto dai Wall Piece #1, pattern moirè di Caroline Kryzecki, che insieme al big drawing KSZ200/152-08, comunicano una profondità spaziale, attivando e orientando lo sguardo dello spettatore verso infinite e molteplici prospettive. Internamente si scorge “Rallye”, l’opera di Marlon Wobst che alterna momenti di intensità cromatica, il blu del cielo, ad intriganti e ironici voli pindarici sul presente. Dello stesso pittore sono presenti in mostra altri due lavori: Rallye, Becken, Brand (2015) e Becken (2015). 

 

“Misplaced”, una serie fotografica della giovane artista romana Valerie Giampietro, indaga il concetto della memoria e la memoria della percezione. Gli oggetti sono fotografati su differenti superfici e stampati su carta da disegno.

La serie di fotografie, “Abandoned Movie Props” di Rä di Martino sottolinea il senso di una dislocazione visuale insieme con delle suggestioni che richiamano alcuni dei topoi del XX secolo in arte – false torri di orologi, catapulte, strutture aliene del set di Star Wars, sembrerebbero involontari lavori di Land Art, spirali surreali della memoria Smithsoniana.

L’albero fossile, Untitled (Tree), di Alessandro Cicoria, viene descritto dallo stesso artista come l’eredità di un pensiero illuminista di voler riportare la natura al centro della città, come una sacra rappresentazione del potere. Travertino e roccia sedimentaria, gli elementi sono modellati per ricreare una scogliera; che insieme all’aggiunta della finta vegetazione diventa foliage, uno spazio naturalmente artificiale che dialoga con colonne, architettura e scultura. 

 

Lo spettatore arriva dunque al centro della sala, dove è installato un secondo lavoro di Elisabetta Benassi. Attraversato da un chiodo che lo trapassa nel centro, il libro “Passato e Presente” – Quarto e ultimo de I “Quaderni dal carcere” – composti tra il 1929 e il 1935. Antonio Gramsci è uno degli autori italiani più tradotti e studiati al mondo; la sua riscoperta internazionale arriva solo in seguito al crollo del Muro. 

 

I Notizen di Olaf Nicolai, mostrati in una vetrina: aperto, chiuso, sulla pagina degli indirizzi e colophon. Un piccolo lavoro, di straordinaria importanza che gioca con le infinite possibilità associate con il viaggio in Italia, a Roma. Rappresenta, il passaggio dell’artista tedesco a Roma, in residenza all’Accademia di Villa Massimo nel 1998. Sul muro che sovrasta la sala principale 3 old table top, di Amélie Grözinger. Lo spettatore, si ritrova inconsapevolmente attorno al tavolo (in stile Gelsenkirchener Barock), di una famiglia tedesca middle class, riunita a colazione, in una villa di campagna che sogna, anch’essa, un viaggio in Italia, magari proprio a Roma. Salendo al primo livello, la video installazione di Peter Welz, study | antonioni, 2015. 

Un accuratissimo lavoro di archivio su ciascuna immagine dei provini di Deserto Rosso (1964) il film del periodo esistenzialista di Michelangelo Antonioni che ritrae, la protagonista Monica Vitti, icona della sua generazione, nella nota scena del pianto. 

Questo piano, offre allo spettatore una prospettiva differente sull’intero spazio, dove può concedersi un momento di assoluta rilflessione. Da qui, lo spettatore può anche godere da posizione privilegiata ed osservare dall’alto la tensione familiare e perturbante racchiusa nell’espressione del dipinto della serie “Untitled III” (2012) di Maria Thurn und Taxis, caratterizzato da una forte ambiguità dello sfondo e da una massiccia carica di umorismo. 

Scendendo nel sotterraneo della galleria, si rimane sorpresi dall’accostamento della scultura di Philipp Lachenmann in un contesto spaziale atipico e ricco di informazioni visive, il forno dell’ex crematorio. I lavori dell’affermato artista tedesco, coniugano raffinatezza stilistica e precisione formale. La serie dei 3 lavori concettuali di Andrea Sala, conducono lo spettatore nel corridoio principale dove troviamo due proiezioni video. 

Bjørn Melhus, con “The Meadow”, ci spinge a considerare la paura dell’ignoto con riferimenti a “Gioventù Bruciata”, ma anche a Bambi, film Disney. Nella saletta in fondo al corridoio, “Far from where we came”, il video di Giulio Squillacciotti, racconta la storia di una famiglia narrata attraverso il ritrovamento di 54 immagini raccolte in due anni tra la Turchia e la Spagna. 

La giustapposizione di immagini che arrivano da differenti tempi e contesti e il racconto le riconduce ad un posto comune. 

 

Isabelle Borges, l’artista brasiliana residente a Berlino da circa 20 anni, ha ideato e realizzato appositamente per la mostra l’installazione “Eternity”, un invito a ripensare lo spazio e il tempo, e cosa crediamo di conoscere; insieme con l’oggetto scultura “Column Eternity” rappresentano un omaggio alla Cattedrale di Aachen, fatta erigere dall’imperatore Carlo Magno, con l’intento di costruire una “nuova” Roma. La chiesa è stata utilizzata come sede di incoronazione per molti Re Tedeschi. 

 

Gemis Luciani, l’artista italiano residente a Berlino, con Piece of Space esplora le possibilità di lavorare con materiali di seconda mano, in questo caso con elenchi del telefono. I lavori, sculture in carta, partecipano alla costruzione e alla decostruzione di spazi reali. “Piece of space” invita lo spettatore a trovare una relazione con l’oggetto, l’interazione spaziale attiva interrogativi sulla percezione degli oggetti e dei materiali utilizzati, ricordandoci che lo spazio è sempre inerente all’arte. Traces, è il titolo della performance di Max Paul che ha visto la partecipazione di un gruppo di performers a poche giorni dall’ Opening di Berlin Roma Paul si interroga su quale sia la relazione tra emozioni e sentimenti che ci spingono a muovere il corpo, a sudare, e ballare al ritmo di una canzone o di una melodia che ci è familiare, riportandoci in un momento ad un ricordo o ad un episodio in particolare del nostro vissuto. L’intento è stato quello di voler lasciare traccia di un momento di recentissimo passato sul muro della galleria che ospita la mostra. Arrivederci, Roma. 

 
Press

I.T.P.A. Il nuovo progetto di Caterina Silva. Esplorare il linguaggio del corpo per creare nuove forme percettive e comunicative

di Eleonora Bruni


https://insideart.eu/2021/09/08/caterina-silva/


Lo spettatore è invitato ad assistere alla performance al di fuori dello spazio espositivo, da una vetrina che affaccia sulla strada. Una cassa all’esterno riproduce indicazioni date da una voce virtuale. Un corpo reagisce alla voce con una serie di movimenti che variano d’intensità.

I.T.P.A. Immersive Tantric Painting Awareness è uno degli ultimi progetti che vede coinvolta Caterina Silva, tra i finalisti dell’ultimo Talent Prize.


La performance, in collaborazione con “Liza”, Elizaveta P. Buzytsky, è stata presentata a Berlino presso la galleria RETRAMP sotto la curatela di Valentina Galossi. Interessata alle dinamiche creative che approfondiscono e includono nella loro pratica il rapporto con il corpo dell’artista, con lo spazio o luogo dell’esibizione e con lo spettatore, presenta un progetto basato sul corpo e sulla voce. “L’idea” ci spiega la curatrice “nasce come risposta artistica al distanziamento sociale”. Concepita tra Roma, New York e Berlino è mostra che esplora le possibilità di un progetto concepito per una fruizione live e on-line. 

“Le modalità di percezione di un’opera d’arte variano molto a seconda del tipo di rapporto emozionale che si riesce ad instaurare con l’opera stessa – continua Valentina Galossi- quindi la scommessa di questa mostra era riuscire a stimolare un nuovo tipo di approccio sensoriale nello spettatore, per avvicinarlo alla pratica artistica. Un invito a partecipare idealmente al processo di creazione delle opere d’arte di Silva, avviene nel voice over audio di Buzytsky”.


Caterina Silva coglie l’occasione per avviare un dialogo serrato in cui far convergere le rispettive ricerche su dinamiche di potere, spiritualità, erotismo, consapevolezza, visione.

“Le istruzioni di Liza- ci spiega Caterina Silva- contengono elementi di pratiche tantriche mescolati ad altri tipi di meditazione e intermezzate da frasi più esplicite in cui l’uditore è spinto a sottomettersi al potere delle parole. Il ritmo crescente e le sincopi aiutano questo processo di immersione e distacco”. Allo spettatore viene richiesto di relazionarsi con i tre quadri di Silva, presenti nello spazio della galleria: due dalla serie 15Kg, lavoro cominciato nel 2016 e in continua evoluzione e uno dal ciclo Forme di non-potere. 

“Mi incuriosisce molto l’idea di trovare sempre modalità differenti per imparare ad assorbire meglio l’esperienza artistica. L’opera d’arte – continua la curatrice- è un’esperienza, il dipinto non è solo da guardare ma da annusare e quasi da toccare”.

(…)


BERLINROMA ROMABERLIN – GALERIE PATRICK EBENSPERGER

 

Galerie Patrick Ebensperger is happy to invite you to celebrate the opening of „BERLINROMA ROMABERLIN – Reverse Inequality“ with us on the 19th of September at 7 pm, followed by yet more celebrations hosted by Nice Bar.

 

Being at a foreign place for the first time you are hypersensitive to all the new and unfamiliar impressions, sounds, and visions. „BERLINROMA ROMABERLIN“ explores these sensations with the help of curators and artists from Rome and Berlin. It is an attempt to see each other’s city through each other’s eyes in order to open up accustomed perceptions and to create an unfamiliar yet intimate setting. Curated by Valentina Galossi and the artist Amélie Grözinger „BERLINROMA ROMABERLIN“ brings together artists inspired and influenced by living and working in Berlin or Rome. The two European capitals with their contrasting qualities and fabricated narratives both have exceptional pasts. Rome, the eternal and sensual city of illusions appears to be a monument of its past glories. Berlin, more of a monument of past doom and delusions, today is a worldwide magnet for artists and is considered to be a place for future visions. The show examines the common grounds and the diverse aspects of producing works in those two cities and how light, space, architecture, scenes, and social structures influence the works originating in each place. The exhibition is a search for similarities and distinctions and explores a common strangeness and peculiarity, a reverse inequality.

 

„BERLINROMA ROMABERLIN“ marks the first part of an exhibition exchange. The second installment will take place in Rome in 2016. The Berlin exhibition includes paintings, films, drawings, performative works, books, photographs, installations, sculptures, and wall paintings. Many works have been made especially for this show. In addition, and as an extension of its Rome issue, Flaneur Magazine will host a project room and a sound composition by Fabian Saul & Vittorio Giampietro at the gallery during the exhibition and two Rome themed evenings amid the show: “Questione Romana – Metropolis, Misery, Modernity”, a talk on October 15th; the premiere of Nico D’Alessandria’s subtitled cult film “L’imperatore di Roma” (1987) will close the exhibition. The opening party in Berlin is hosted by Nice Bar.

Film Screening: BerlinRoma – Reverse Inequality (Part One)

 

EN

Berlinroma – Reverse Inequality (Part One) Save the Dates 19 September, 7 pm, Opening Reception and Party 15 October, 7 pm, Panel Discussion 12 November, 8 pm, Film Screening Participating artists: Elisabetta Benassi, Isabelle Borges, Alessandro Cicoria, Rä di Martino, Valerie Giampietro, Amélie Grözinger, Caroline Kryzecki, Gemis Luciani, Bjørn Melhus, Olaf Nicolai, Max Paul, Andrea Sala, Guilio Squillacciotti, Maria Thurn und Taxis, Marlon Wobst, Peter Welz. 

 

Curated by Valentina Galossi and Amélie Grözinger, the exhibtion brings together international artists from Rome and Berlin. It examines the fabricated ideas and narratives of the two cities and is conceived as an exchange. The second part of the show will take place in Rome in 2016. As an extension of its Rome issue, Flaneur Magazine will host two evenings amid the exhibtion: “Questione Romana – Metropolis, Misery, Modernity”, a panel discussion on October 15th, and the premiere of Nico D’Alessandria’s subtitled cult film “L’imperatore di Roma” (1987) on November 12th. 

 

DE

Die von Valentina Galossi und Amélie Grözinger kuratierte Ausstellung untersucht mithilfe von Werken internationaler Römischer und Berliner Künstler die vorgefertigten Narrative und erfundenen Traditionen beider Städte. Das als Austausch konzipierte Projekt wird 2016 mit einem zweiten Teil in Rom fortgesetzt. Anlässlich seiner Rom-Ausgabe ist Flaneur Magazine mit dem Podiumsgespräch “Questione Romana – Metropolis, Misery, Modernity” am 15. Oktober, und dem Kultfilm “L’imperatore di Roma” (1987) am 12. November zu Gast in der Ausstellung.

BerlinRoma RomaBerlin – Reverse Inequality. Primo Atto

 

IT

Nato dall’incontro tra Valentina Galossi, curatrice romana residente a Berlino da 3 anni, e l’artista tedesca Amelie Groezinger, il progetto espositivo BerlinRoma RomaBerlin – Reverse Inequality è iniziato a Berlino lo scorso 19 settembre negli spazi della Galerie Patrick Ebensperger, con una mostra collettiva che ha coinvolto sia artisti italiani che tedeschi: Elisabetta Benassi, Isabelle Borges, Alessandro Cicoria, Rä di Martino, Valerie Giampietro, Amélie Grözinger, Caroline Kryzecki, Philipp Lachenmann, Gemis Luciani, Bjørn Melhus, Olaf Nicolai, Max Paul, Andrea Sala, Giulio Squillacciotti, Maria Thurn und Taxis, Marlon Wobst, Peter Welz. Si tratta di un progetto che, iniziato a Berlino, vedrà un secondo appuntamento nella città di Roma. Perché la necessità di individuare un “Asse Roma-Berlino” riferibile al sistema dell’arte odierno?

 

Roma, la città d’arte per eccellenza, un museo a cielo aperto. Ma non è solo questo! 

Ci sono artisti che ne hanno tratto inspirazione, chi ci è nato e poi se ne è allontanato; chi vive ancora lì la sua vita professionale, ma sono in pochi. In ogni caso, sono proprio loro, gli artisti, a rendere attuale la memoria di questa affascinante città dal passato ingombrante, ed è con le loro opere che ne viene valorizzata la storia più recente. L’eredità di Roma è nelle persone che ne fanno3 parte, e negli artisti che la rappresentano.

Oggi è Berlino ad attirare artisti da tutto il mondo. Dalla caduta del muro, è lei la nuova capitale culturale europea. Forse non sbagliamo nel dire che tra le due città è avvenuto un sotterraneo passaggio del testimone.” scrive Valentina Galossi; l’idea di uno scambio tra le due città è dunque prima di tutto culturale e legato al flusso di artisti italiani che hanno scelto Berlino come luogo in cui vivere e creare e, allo stesso tempo, permette di coinvolgere quegli artisti che vivendo a Roma, in qualche modo la rappresentano.

 

La mostra è dunque occasione di incontro e confronto tra lavori che abbracciano e tengono conto di varie tematiche riconducibili alle eredità che le due città, seppur in maniera diversa, continuano a custodire.

 

Tra le opere in mostra colpiscono per quel senso di suggestione dell’antico e della temporalità come possibile traiettoria eterna il lavoro di Andrea Sala che accoglie gli spettatori in un ambiente da tempio antico e il video di Rä di Martino, Copies récentes de paysages anciens.  Max Paul crea un legame tra antico e contemporaneo con l’opera Fragments. L’artista romana Elisabetta Benassi, invece, riflette sugli effetti che la storia contemporanea ha sortito sulla storia dell’arte antica con un’opera che trae spunto da un episodio drammatico: l’esplosione di via dei Georgofili a Firenze (correva l’anno 1993), quando la Galleria degli Uffizi subì molti danni, tra i quali quelli alla statua romana, il Figlio di Niobe, uscita dall’episodio mutila di gambe.

 

Una riflessione sugli effetti della caduta del Muro di Berlino è invece presente nell’opera, sempre di Benassi, Passato e Presente, dove il libro “Passato e Presente” – Quarto e ultimo de I “Quaderni dal carcere” –  è attraversato da un chiodo. L’autore, Antonio Gramsci, uno degli scrittori italiani più tradotti e studiati al mondo vede la sua riscoperta internazionale solo dopo il crollo del Muro. La pittura è presente nei lavori di Marlon Wobst: Rallye, Becken, Brand (2015) e Becken (2015); mentre le fotografie dell’artista romana Valeria Giampietro riflettono sulla memoria attraverso una serie di oggetti immortalati su superfici differenti e resi su carta da disegno. Olaf Nicolai riporta la propria esperienza romana presso Villa Massimo con i suoi Notizen mostrati in vetrina: aperto, chiuso, sulla pagina degli indirizzi e colophon. L’ artista romano Alessandro Cicoria viaggia sulla monumentalità classica partendo dalla natura: l’albero fossile, Untitled (Tree), sembra escogitare da un lato la possibilità architettonica della natura, dall’altro indica la necessità dell’introduzione della natura negli spazi urbani come auspicabile potere reale.

 

Gemis Luciani, l’artista italiano residente a Berlino, con Piece of Space riflette sulla spazialità e su come essa sia legata all’arte.5 Una serie di elenchi telefonici piegati con fare scultoreo mettono in relazione lo spettatore con la dimensione oggettuale e spaziale dell’opera. Il desiderio del viaggio verso Roma (luogo del prossimo appuntamento espositivo) è suggerito nel lavoro 3 old table top, di Amelie Groezinger, attraverso il quale il visitatore si ritrova come attorno al tavolo di una famiglia tedesca middle class che sogna un viaggio in Italia, magari a Roma…

SUNDOWNER EVENT VOR DER NEUEN NATIONALGALERIE

 

DE

Als ich vom „Sundowner“ hörte, der aktuellen Veranstaltungsreihe, war ich sofort begeistert, ruft sie doch Erinnerungen an den Sommer 2014 wach, als wir auf dem Dach der Neuen Nationalgalerie feierten … Jene ist für die nächsten fünf Jahre wegen der aufwendigen Sanierung geschlossen. Aber auf dem großräumigen Platz darumherum schauen wir gern vorbei: Hier präsentieren Franziska, Valentina, Arc und Rebecca, die Veranstalter, wechselnde Kunstwerke – Musik, Getränke bei Panorama-View und Sonnenuntergang, eben einen Sundowner, miteingeschlossen. 

 

Die Eventreihe läuft bereits seit Ende April 2015 und hat bei meinen Freunden wohl schon für einige schöne Abende in spektakulärer Atmosphäre gesorgt. Wir hoffen auf gutes Wetter am kommenden Dienstag (8.9.2015), denn dann steht das nächste Zusammenkommen an – hoffentlich nicht das letzte für dieses Jahr. Zu sehen gibt es dann die Ausstellung „Don’t Talk to Strangers“ von Nicola Ruffo und Sandino Scheidegger. Gereicht werden dazu hausgemachte Drinks von Cory Arcangel. Wir sind gespannt auf diesen Mix. 

 

(Text: Isabelle Kagelius)

 

Neue Nationalgalerie, Potsdamer Str.50, 10785 Berlin-Tiergarten; Stadtplan  Di 8.9.2015, 19h